Lo sport è ancora in lutto per la tragica scomparsa di Black Mamba e solo oggi è possibile conoscere tutti i retroscena di quell’orrendo incidente.
Kobe Bryant è stato un mito dello sport, tanto più caro a noi italiani perché nel nostro Paese ha vissuto, è cresciuto e parlava un perfetto italiano. Anche se il successo, come logica ha voluto, è arrivato grazie all’NBA, Kobe ha mantenuto un rapporto privilegiato con il Bel Paese.
Prima di diventare un campione
Kobe era figlio d’arte, suo padre Joe, lasciata l’NBA ha giocato nel campionato italiano per sette anni. Ed è nel nostro paese che si forma. Molti lo ricordano in quel di Reggio Emilia, ragazzino di soli dieci anni, competere con i compagni di squadra del suo papà. Il basket lo aveva nel sangue e da quello ne avrebbe tratto la sua filosofia di vita.
Dotato di un talento innato, Kobe però non si è mai adagiato sugli allori, passava ore in palestra e ad allenarsi, fare del suo meglio non era abbastanza, il massimo era quello a cui ambiva. Tornato negli States è diventato la stella del suo liceo attirando così l’interesse delle squadre più importanti fino ad arrivare nel 1996 ai Lakers. Il mito era nato.
Un esempio per milioni di giovani
Ma al di là delle prestazioni sportive, innegabili quanto straordinarie, la sua forza è stata nell’esempio che ha saputo dare. La filosofia del Black Mamba, nel non accettare la sconfitta come un fallimento ma come uno sprone a fare sempre meglio e di più, nel continuo miglioramento di sé stesso. Adorato dagli sponsor, è stato il volto di brand prestigiosi, Adidas, Coca Cola, Nike. Impegnato nel sociale, è stato attivo con fondazioni in USA e in Cina per aiutare i ragazzi in difficoltà.
Un grave infortunio al tendine d’Achille ha sancito la fine della sua carriera, ma anche in quel momento ha saputo trarre il meglio. Lasciando la vita da sportivo, ha scritto una lettera “Dear basketball” che è stata sceneggiata ed è diventata un cortometraggio d’animazione. Con quel corto ha vinto un Oscar… sempre al massimo Kobe!
Nella sua filosofia da Black Mamba aveva coinvolto anche Gianna, la figlia, che partecipava attivamente nello sviluppo della pallacanestro femminile.
L’epilogo
Nessuno poteva immaginare un epilogo così tragico, così stupido. Il pilota dell’elicottero dove viaggiava, forse disorientato dalla nebbia, ha ignorato gli strumenti di bordo fidandosi del suo istinto e credendo di prendere quota, di fatto si è andato a schiantare. Dopo due anni, sono apparsi in rete, esattamente su Facebook e su Reddit i referti delle autopsie sia di Kobe che di Gianna. Sono immagini forti, sconvolgenti, anche se si tratta solo dei disegni del patologo che ha esaminato i resti del campione.
Da questi schizzi possiamo realizzare la violenza dell’impatto. Kobe, o meglio, quello che rimaneva del campione, era privo di una parte del cranio, di un braccio e di gran parte delle gambe, quelle gambe che si muovevano così veloci sul parquet, erano state strappate via dalla violenza dello schianto. Meno tragico l’aspetto di Gianna, che presentava grandi lacerazioni a livello del fegato.
Ma quello che resta del campione è ben altro, l’eredità di un uomo che ha fatto della fiducia nelle proprie capacità il suo credo: „Resta paziente, tutto qui. “