La battaglia legale tra Tinder e Google ha avuto inizio. L’app per incontri più conosciuta al mondo è finita sotto processo ed è pronta a scontrarsi con il colosso della ricerca.
Non si può parlare di app di incontri senza menzionare Tinder. Lanciata nel 2012, in poco tempo è diventata una delle più usate insieme a Meetic, Lovoo e Happn. Tinder è stata una delle prime “swiping apps”: l’applicazione, infatti, consente agli utenti di “strisciare” passando da un profilo all’altro alla ricerca di quello più affine.
La sempre maggiore digitalizzazione, insieme al distanziamento andato di pari passo con la pandemia di Covid-19, hanno reso le app di incontro sempre più popolari e Tinder è una delle preferite dai più giovani.
Ma ora l’applicazione rischia grosso: la compagnia che si occupa della sua gestione è stata citata in giudizio da parte di Google. Tra le due aziende è nato un vero e proprio scontro, sfociato in un processo da milioni di dollari. Scopriamo che cosa è successo.
L’accusa di Match Group e la risposta di Google
Match Group, azienda statunitense proprietaria di Tinder, ha avviato una causa contro Google, accusando la società di sfruttare una politica di fatturazione monopolistica.
“Google ha attuato una manipolazione strategica dei mercati, con promesse non mantenute e abuso di potere” è stato affermato nella dichiarazione pubblicata da Match Group, il cui team ha spiegato di sentirsi “ostaggio” di Google.
Big G, da parte sua, ha citato in giudizio Match Group, con l’accusa di “rapporti in malafede” e “violazione del contratto per aver provocato una battaglia legale sulle politiche di Google Play”.
Match Group, in breve, non avrebbe rispettato quanto fissato dal contratto con Google Play, avviando un processo contro alle politiche dell’azienda. Big G, inoltre, ha modificato alcune delle sue politiche “spingendo il sito di incontri a ritirare una richiesta di un’ordinanza restrittiva temporanea” come affermato dalla società.
A ciò bisogna aggiungere l’accusa mossa da Google alla compagnia proprietaria di Tinder, che non avrebbe intenzione di pagare per l’uso del mercato. Per questo motivo, è stata imposta una “commissione arbitraria del 15% su ogni abbonamento, fino al 30% per i singoli acquisti in-app” che, secondo Match Group, sarebbe solamente una strategia per sfruttare le applicazioni.
A differenza delle altre società, che “rispettano i loro accordi e compensano volontariamente Google per i vantaggi che ricevono”, Match Group sarebbe venuta meno al suo impegno, a detta del colosso di Mountain View.
L’azienda proprietaria di Tinder ha dimostrato di non temere il potere di Google, affermando che le azioni dell’azienda hanno solamente lo scopo di “spaventare gli sviluppatori”. Ciò che conta sono le norme anticoncorrenziali del Play Store che, secondo la Match Group, “violano le norme statali”.