Un talent show trash e alla rovescia. La vendetta di un grande presentatore contro la Rai che lo aveva cacciato. Un format straordinario che ha lasciato il segno nella storia della TV.
C’era una volta la TV romanocentrica. La Rai, quella industria culturale e quella fabbrica di consenso fatta di regole ferree, di grandi talenti e di obbedienza politica.
Di innovazione e di censura. Un giorno, con la liberalizzazione dell’etere e la nascita delle TV locali quel mondo finì. Ma molte cose sarebbero andate diversamente se i primi scricchiolii del moloch romano non avessero determinato eventi che a lungo termine si sarebbero dimostrati fatali.
Uno di questi fu la cacciata di Enzo Tortora, nel lontanissimo 1962, a causa di una imitazione di Amintore Fanfani fatta da Alighiero Noschese. Secondo i vertici Rai, Tortora avrebbe dovuto impedire la messa in onda dell’irriverente siparietto. Ma Tortora, uomo dalla schiena diritta, rifiutò e venne messo alla porta.
Passò qualche anno prima che l’alternativa alla Rai si manifestasse. E una delle sue prime espressioni fu quella Telealto Milanese (poi diventata Antenna 3) di Busto Arsizio, che in Enzo Tortora individuò immediatamente una risorsa preziosa. Un uomo di TV geniale e, cosa che non guastava, mortalmente avverso al dominio di mamma Rai, deciso a creare format da vendere all’estero o, perché no, alla stessa TV di stato, purché a caro prezzo.
Nasce un talent alla rovescia
Nella cornice pionieristica e appassionata di una palazzina di Busto Arsizio, Tortora decise di reinventare la televisione. Non più acchittata ma popolare, non più educata ma trasgressiva. E, ispirandosi a una celebre trasmissione radiofonica, la Corrida, Tortora concepì un talent show alla rovescia, nel quale la mancanza di talento, purché divertente, avrebbe fatto spettacolo tanto quanto il talento.
Nacque cosi “Il Pomofiore” trasmissione scombiccherata e incredibilmente divertente, nel quale il pubblico reagiva alle prestazioni dei “talenti” improvvisati lanciando fiori (se apprezzava lo show) oppure pomodori (anche se di plastica). Uno spettacolo fantastico, ispirato all’avanspettacolo e alle fiere di paese, trasgressivo e liberatorio. Una trasmissione che avrebbe creato eroi improbabili come Matteo Troiano, talmente negato come cantante da vincere il titolo di “cantante più stonato” per nove puntate consecutive e approdare infine a Striscia la Notizia, dove sarebbe diventato noto come “Il maestro Pavarotto”.
Quella televisione inventata da Tortora e continuata da Lucio Flauto, concepita da grandi autori, diretta da registi come Cino Tortorella, fu grande televisione? Indubbiamente sì, ma non solo. Fu anche spettacolo popolare nel senso migliore. Basti pensare che la prima finale del “Pomofiore” si tenne allo stadio di Busto Arsizio, davanti a 18.000 persone, un bagno di folla e di entusiasmo incredibile.
Da quelle idee e da quegli si sarebbero mossi personaggi come Teo Teocoli e Massimo Boldi, Paola Perego, Isabella Ferrari, Carmen Russo. Da quella esperienza sperimentale e genuina voluta da Renzo Villa, imprenditore lombardo, sarebbe nata, prendendone idee e personaggi, l’epopea della TV privata del Cavalier Silvio Berlusconi.Che oltre alla TV avrebbe cambiato pure l’Italia.
Se in meglio o in peggio, è cosa di cui ancora si discute.