La famiglia di Nicholas Green, il bambino ucciso 28 anni durante una rapina sulla Salerno- Reggio Calabria ha fatto quello che nessuna famiglia dovrebbe fare. Ma il risultato è stato tutt’altro che negativo.
Tra le norme che regolano la donazione degli organi, una è da sempre considerata centrale dalla legislazione italiana. Mai, mai e poi mai le famiglie “donatrici” e quelle riceventi devono conoscersi.
La ragione non è semplice da capire a prima vista, ma generazioni di psicologici hanno stabilito che il legame che si stabilisce in questi casi può essere perverso e in definitiva portare sofferenza sia a chi ha donato sia a chi riceve la vita dagli organi di qualcuno, e spesso si tratta di un ragazzo, morto in circostanze disgraziate.
Ma non sempre, non necessariamente, la vita segue i binari della teoria, per quanto bem intenzionata. E a volte, deragliando, può anche creare una realtà nuova, migliore di quella che era stata progettata.
Quando Nicholas Green, il piccolo americano, fu ucciso durante una rapina sulla Salerno-Reggio Calabria, tutta l’Italia, presa dal senso di vergogna per quello che era successo, fu commossa dalla reazione dei genitori, che scelsero di non odiare.
Decisero invece di donare gli organi del figlio a sette ragazzi italiani, che senza di lui non avrebbero potuto vivere. Un gesto generoso, accompagnato da parole importanti. Come italiani ne fummo toccati. E probabilmente anche la famiglia del piccolo Nicholas ha ricevuto almeno un po’ di sollievo dalla decisione di rimuovere dal proprio cuore una pulsione negativa e oscura, e sublimare la propria perdita in un atto che ha fatto del bene a tanti bambini.
La lettera del padre: “lasciateci incontrare”
A tanti anni di distanza il padre di Nicholas ha scritto una lettera aperta, pubblicata da “Repubblica”. Nel testo, rivolto alle autorità, espone la sua esperienza di genitore che, insieme a sua moglie, ha avuto modo di incontrare, conoscere e sviluppare un forte legame con le famiglie dei bambini malati che grazie agli organi di Nicholas hanno potuto vivere la vita negata al piccolo californiano.
Il papà ha esposto la sua esperienza e quella delle innumerevoli famiglie americane che hanno vissuto la stessa storia, grazie a una legislazione attenta all’equilibrio di tutti, ma meno proibizionista della nostra.
Conoscere Maria Pia, e tutti gli altri ragazzi beneficiati da Nicholas non ha sviluppato rancore, al contrario. Ma solo gratitudine e comprensione.
Nicholas è tornato a vivere nei corpi di sette ragazzi, senza gelosia, senza rancore, con tanta consapevolezza e affetto. Sarebbe ora di mostrare le statistiche e i casi su cui si basa le legislazione italiana per stabilire un divieto che ha tratti inumani.
È una battaglia che il padre di Nicholas combatte da tempo, “come un Don Chisciotte”. E che ha vinto personalmente, con il consenso di numerose associazioni di bioetica. Adesso questa vittoria potrebbe e dovrebbe diventare patrimonio di tutti.