Inquinamento digitale, il nuovo pericolo per l’ambiente. Le connessioni hanno un impatto negativo ma nessuno ne parla.
L’agenda 2030 e gli obiettivi del Green Deal Europeo da raggiungere entro il 2050 puntano all’azzeramento dell‘inquinamento ambientale. Catastrofi naturali provocate dai cambiamenti climatici, inquinamento, impatto del consumo energetico, esaurimento delle risorse, riduzione del consumo dell’acqua sono al centro delle nuove politiche europee e mondiali per la creazione di una società sostenibile.
Dall’inquinamento ambientale allo spreco delle risorse, le nuove direttive delle economie mondiali e degli investimenti puntano alla sostenibilità. Limitare i consumi, la mobilità e gli spostamenti, riconvertire il sistema produttivo, investire in energie rinnovabili, premiando un’economia circolare sembrano essere linee guida ragionevoli per tutelare il pianeta.
Questo scenario sarebbe idilliaco se non fosse che se da una parte il cittadino è chiamato a un comportamento virtuoso, dall’altra, il sistema mostra dei paradossi.
Il piano d’azione che punta alla tutela dell’ambiente include lo sviluppo della digitalizzazione. Le nuove tecnologie quali 5G e fibra ottica accompagno questo processo.
Quello che non viene rivelato è l‘impatto di questa tecnologia sull’ambiente e sulle risorse energetiche. L’inquinamento digitale ha diverse sfaccettature. A partire dall’inquinamento elettromagnetico/elettrosmog che provoca conseguenze sulla salute delle persone più volte denunciato dall’associazione italiana OasiSana.
Negli ultimi anni, sono infatti aumentati casi di persone considerate “elettrosensibili”. Cittadini che soffrono di effetti legati all’inquinamento elettromagnetico penalizzanti nella vita di tutti i giorni.
La digitalizzazione significa una riconversione industriale e produttiva. Per il funzionamento di internet sono necessarie infrastrutture ma anche sistemi che magazzinaggio dei dati. Un solo server produce in un anno da 1 a 5 tonnellate di CO2 e ogni gigabyte scambiato su internet emette da 28 a 63 g di CO2 equivalente.
Ogni azione digitale impatta sul consumo energetico. Dalle più semplici operazioni come l’invio di sms o una mail, l’inquinamento ambientale aumenta in maniera esponenziale quando si usano piattaforme streaming, gaming e social network.
Secondo uno studio condotto da Purdue University, MIT e Yale University, un’ora di streaming genera tra i 150 e i 1000 grammi di emissioni CO2.
Anche i social inquinano. Secondo una ricerca di Greenspector, TikTok genera 2,63 grammi di CO2 emessi al minuto, seguita da Reddit (con 2,48 grammi) e Pinterest (con 1,30).
Il programma d’inchiesta Report in un servizio andato in onda ad ottobre 2021, ricordava che tra le multinazionali 100% web, Google inquina 12,5 milioni di tonnellate di CO2, seguito da Microsoft con 11,5 milioni e in terza posizione Facebook con 4 milioni.
Recentemente, il gruppo europeo Greens/EFA ha denunciato che lo sviluppo di tecnologie e piattaforme digitali potrebbe compromettere il raggiungimento degli obiettivi sostenibili del 2050.
L’inquinamento digitale deriva anche dal ciclo produttivo delle tecnologie digitale. La produzione incide per il 54% sull’impatto ambientale, seguita dall’utilizzo per il 44% e infine per l’1% per quanto riguarda la distribuzione e lo smaltimento.
Una ricerca condotta da Deloitte, pubblicata nel report annuale “Digital Green Evolution”, evidenzia che nel 2022, 4,5 miliardi di smartphone in uso nel mondo, dovrebbero generare 146 milioni di tonnellate di CO2 (o CO2 e, emissioni equivalenti). Tuttavia, la ricerca conferma che ad inquinare maggiormente sia proprio la fase produttiva con un impatto dell’84% sull’ambiente.
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Ecco perché, sottolinea Deloitte nel suo report, sarebbe opportuno rivedere la produzione in modo da creare prodotti tecnologici a più lunga durata. Attualmente, smartphone e altre tecnologie hanno una durata media di 2-3 anni. Un ritmo produttivo che non può più essere sostenibile.
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