Durante la pandemia, tra le persone che hanno sofferto di più sono stati i bambini, soprattutto per le forzate assenze da scuola. Ma forse ora c’è una soluzione che mette d’accordo tutti.
Molte sono state le conseguenze del covid, a parte quelle tragiche, quelle sanitarie, ci sono anche quelle che hanno minato attività normali e quotidiane, come la scuola.
A seguito della chiusura delle scuole per la pandemia di COVID-19 e il conseguente lockdown , la quasi totalità dei ragazzi in età scolare non ha più potuto frequentare la scuola. Per i primi mesi, le famiglie hanno vissuto isolate con una perdita di più di 60 giorni di scuola, con gravissime conseguenze sul rendimento scolastico degli alunni.
Per tentare di arginare questa deriva formativa, lo stato propone, per la prima volta in forma sistematica, forme di didattica a distanza, (la DAD), con maestro/professore e alunni a casa propria davanti ad uno schermo. La DAD non rappresenta la mera trasmissione di contenuti in via digitale, ma un approccio diverso e creativo nella didattica. Averlo fatto in situazione di emergenza non ha aiutato. Le scuole non erano attrezzate, gli insegnanti non erano né preparati a gestire questa nuova modalità, né erano stati formati per farlo, lo stesso dicasi per i genitori. La stessa impalcatura digitale del Paese era impreparata a un tale traffico di dati. Chi può dimenticare i “non sento”, “non vedo”, “non ho connessione”. Un vero disastro!
Poi è arrivata la DDI, quando uno o più alunni si trovano a casa, ammalati o in quarantena e si connettono con la classe a scuola. Un vero salto mortale doppio carpiato per un insegnante che deve gestire alunni in presenza e altri in digitale dovendo articolare la lezione in doppia modalità con l’ovvio corollario dei soliti “non vedo”, “non sento” ecc. ecc.
Un vero bagno di sangue. Se qualcuno pensa che insegnare in questo modo sia semplice, non si è mai trovato davanti ad un gruppo di adolescenti armati di tik tok e pronti a cogliere ogni minima debolezza del proprio insegnante.
È di questi giorni la notizia della creazione di un robot, Stretch, che consente ai bambini a casa malati di interagire con l’insegnante e i compagni come se fosse a scuola. Si tratta di un robot di telepresenza che permette agli ammalati di assistere alle lezioni, ma non solo, di prendere parte anche ai momenti non codificati, come la mensa o la ricreazione.
“Mamma” di Stretch è la ricercatrice in informatica sanitaria Veronica Ahumada che lavora presso l’Università della California. Questo robot è la sua rivalsa. Lei stessa, da bambina, è stata costretta a lunghe assenze a causa di una grave malattia.
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Il prototipo sarà testato a breve da studenti costretti alla didattica a distanza. Di certo sarà di grande conforto per alunni con gravi malattie che impediscono loro la normale frequenza scolastica.
Forse anche i docenti beneficeranno dell’avere in classe alunni robot. Di certo non chiederanno di andare in bagno ogni 10 minuti e c’è da sperare che nel software del robot inseriscano anche un chip per la buona educazione, cosa che non guasta mai….
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